Si parte da un Taccuino del 1903, ricco di ben 42 acquarelli che aprono molti spiragli sugli interessi di Amerigo Bartoli (Terni 1890 - Roma 1971) allora tredicenne ma già dotato di talento, di cultura, di un perspicace spirito di osservazione che, se da un lato lo porta a fermare con istintiva rapidità le proprie impressioni attente agli effetti luminosi e alla resa delle ombre, dall'altro pone le basi di quella storia di ogni giorno raccontata attraverso le ipocrisie, le meschinità, le vanità e i falsi valori di intere generazioni. Accanto al lato umoristico-caricaturale, il pittore di scene di una non dimenticata vita di provincia (Cacciata di casa, 1921), di "monumentali" paesaggi en plein air (Campagna umbra, 1956) e di sontuose umilissime nature morte (Selvaggina, 1923, Il pane e l'uovo, 1957), esercita un personalissimo linguaggio nell'ambito dell'arte del Novecento.
Una bella mostra ("Amerigo Bartoli e l'Umbria") curata da Giuseppe Appella (catalogo De Luca) allestita fino al 25 ottobre negli eleganti spazi di Palazzo Montani Leoni di Terni, sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, che scioglie così meritoriamente un debito non ancora saldato con l'illustre concittadino - peraltro sorprendentemente ignoto alla "Garzantina", dove non avrebbe certamente sfigurato tra l'architetto Otto Bartning (Karlsrhue 1883 - Darmstadt 1959), legato al primo espressionismo tedesco, e lo scultore Lorenzo Bartolini (Prato 1777 - Firenze 1850), allievo insieme ad Ingres di Jean-Luis David -, riporta alla ribalta un personaggio importante della cultura e dell'arte del nostro Novecento, eccellente pittore, fine disegnatore e sarcastico autore di vignette (più di mille pubblicate nel prestigioso "Mondo" di Pannunzio"). Vengono qui raccolti per l'occasione oltre cinquanta dipinti, e circa settanta tra disegni e acquarelli datati 1903-1970 strettamente legati alla terra d'origine dell'artista, utili comunque per sviluppare integralmente il suo percorso espressivo. Che si svolge dall'arrivo a Roma nel 1906, dove, frequentando l'Accademia di Belle Arti, da' le prime anticipazioni di quella che sarebbe stata la suo "fisionomia" pittorica, caratterizzata da un impegno naturalistico e scevra da legami con questa o quella "scuola", fino agli ultimi giorni, attraversando momenti fondamentali per la sua formazione (fu allievo di Cambellotti e Sartorio), le collaborazioni a tante riviste culturali e a periodici satirici, la frequentazione con personaggi come Ungaretti, Baldini, Alvaro, Patti, Cardarelli, de Chirico, Maccari, Mezio, che all'epoca "affollavano" la scena letteraria ed artistica romana, la partecipazione attiva ai fermenti culturali della capitale, e i tanti e prestigiosi successi espositivi.
Nel 1913 Bartoli concorre al Pensionato Artistico Italiano affrontando il tema "Un gruppo di donne guarda una adolescente nuda", presente nella mostra, ma il premio va a Ferruccio Ferrazzi. Due anni dopo lo vediamo partecipare alla "Terza Esposizione d'Arte della Secessione" e, parallelamente ad una intensa attività di illustratore di libri, pubblicare i suoi disegni su "L'Eroica", e quindi su tante altre importanti testate (per ricordarne solo qualcuna: "Pasquino", "Cronache d'Attualità", "Il fronte interno", "La Giberna", "Il Primato Artistico Italiano", "Il Travaso delle idee", "Index", "Corriere Italiano", "Guerin Meschino", "Terza Pagina", "La Lettura", "La Tribuna", e soprattutto "Il Mondo", nella cui redazione - come ricordava Giovanni Russo nel catalogo della mostra maceratese del 1994 a lui dedicata - Bartoli era considerato "un pittore più corposo e colto rispetto a Maccari, per una sua capacità di creare un'atmosfera quasi caravaggesca, mentre questi era ritenuto un pittore facile e prigioniero del suo mondo caricaturale); attraverso questi innumerevoli disegni, che compongono nel loro insieme una sorta di affascinante viaggio nella propria contemporaneità, è possibile leggere la "sua" storia della prima metà del secolo appena archiviato. Nel 1921 è tra gli artisti inclusi, con tre opere, nella "Prima Biennale Romana" e, nel 1922, condivide con de Chirico lo studio romano di Via degli Orti d'Alibert alla Lungara; la coabitazione con il Grande Metafisico, in una strada peraltro che ispirò un noto dipinto di Filippo de Pisis, porta ad interessanti sollecitazioni facilmente identificabili nelle opere di quest'anno, punto di passaggio dal ritorno al classicismo al momento romantico. Da allora la sua intensa attività pittorica coglie i più ampi riconoscimenti e i maggiori successi in una lunga serie di mostre personali e di partecipazioni alle più prestigiose rassegne italiane ed estere, tra le quali ricordiamo la "Esposizione Internazionale d'Arte" di Barcellona (1929), la "Exhibition of Italian Contemporary Art" di New York (1939), e "Artisti Italiani Contemporanei" (Mosca 1953 e Monaco di Baviera 1957).
Bartoli - come fa notare il curatore della mostra - "ciò che ricerca deve immaginare, ciò che descrive deve meditare, tutto deve dar forza all'intelligenza, non interrompere il flusso di quell'inesauribile poesia di un viale di campagna all'alba, di una casa colonica, di un'osteria, di una casetta o di un ponte a Narni, della Cascata delle Marmore al tramonto, di un palo telegrafico, di un anemone, di una serenata in cortile". Ne consegue quel colorismo atonale, tutto effetti di luce e di ombra, che in obbedienza a una precisa cerimonia rappresentativa e a una impalcatura formale da antica bottega, determina "un approccio all'immagine dall'esterno, proprio il contrario della Scuola Romana". Egli non si pone il problema di una pittura imprigionata in uno stato contemplativo e nella "dipendenza" del tema; nemmeno quello di perfezionare l'opera, lasciando sempre qualcosa di indeterminato che allarghi le forme e gli orizzonti allo sguardo e alla fantasia di chi vi si ponga di fronte.