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cultura
Isadora, Eleonora e Gabriele
di Carla Santini

La grande danzatrice Isadora Duncan conobbe Eleonora Duse a Parigi nel 1906. Con l'attrice italiana e con Gordon Craig a dicembre dello stesso anno mise in scena a Firenze Rosmersholm di Ibsen. Sei anni dopo, nel 1912, Isadora conobbe, sempre a Parigi, Gabriele D'Annunzio e lo frequentò assiduamente.

La Duncan morì a Nizza nel 1927, strangolata dalla sua sciarpa finita in una ruota della Bugatti che stava provando. Aveva appena salutato i suoi amici con un profetico "Addio, amici, vado verso la gloria". Anni prima i suoi due figli erano morti nella Senna, precipitati nella macchina che l'autista aveva lasciato sfrenata. La sua autobiografia "La mia vita" uscirà postuma lo stesso anno della morte. Nella prefazione all'autobiografia è contenuto un interessante giudizio sul poeta pescarese.

"Può darsi - scrive la Duncan - che Gabriele D'Annunzio sia l'amante più straordinario del nostro tempo. E' tuttavia un uomo di corporatura delicata nonché calvo e, se non fosse quando il suo volto s'illumina, sarebbe difficile trovare in lui attributi di bellezza. Ma quando parla ad una donna che ha suscitato il suo amore, si trasfigura in tal modo che arriva a ricordare Febo-Apollo e non è per alcun altro motivo che può conquistare le più belle e più celebri donne del suo tempo".

"Quando D'Annunzio ama una donna la sua anima abbandona la terra e va a librarsi nelle regioni eteree dove rifulge Beatrice. A sua volta egli fa che ognuna delle sue preferite partecipi dell'essenza divina e le eleva così in alto che loro finiscono per credersi veramente sullo stesso piano della Beatrice che Dante cantò in strofe immortali". "Per un certo tempo, a Parigi, il culto di D'Annunzio raggiunse una tale altezza che non c'era donna celebre che non fosse innamorata di lui. A quei tempi lui lanciava sopra ognuna delle sue elette un velo miracoloso. Ognuna di loro, quindi, si elevava sopra le altre mortali e camminava avvolta in un alone risplendente".

"Ma quando il capriccio del poeta terminava e l'una era abbandonata per l'altra, il velo meraviglioso scompariva, l'aureola si eclissava e la donna ritornava all'argilla di cui era fatta. Se lei non si rendeva conto di quello che le stava accadendo, aveva, tuttavia, coscienza di essere precipitata dalle altezze e, guardandosi indietro, al tempo in cui si era trasfigurata grazie all'adorazione di D'Annunzio, si rendeva conto che mai più nella sua vita le si sarebbe ripresentato il genio dell'Amore. Dispiacendosi, quindi, per la sorte che le era riservata, giorno dopo giorno s'intristiva, fino ad arrivare a chiedersi: "Come è stato possibile che D'Annunzio abbia amato una donna così comune?" E' che D'Annunzio era un amante di tal fatta che poteva trasformare la mortale più volgare, dandole l'apparenza di un essere veramente celestiale."

"Nella vita del poeta - continua Isadora - c'è stata solo una donna che ha resistito a questa prova. Ella era la reincarnazione della Divina Beatrice, e su di lei D'Annunzio non ebbe bisogno di lanciare qualsivoglia velo, poiché io ho sempre creduto che Eleonora Duse fosse effettivamente la Beatrice di Dante, rediviva ai nostri giorni. Davanti a lei D'Annunzio non poté fare altro che cadere in ginocchio, in piena adorazione, e fu questa l'unica beatifica esperienza della sua vita. In tutte le altre donne egli mai trovava di più di quello che aveva donato loro; solo Eleonora Duse si elevò sopra delle altre, rivelandogli una ispirazione divina".

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