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arte e mostre
Assadour, meteco del mondo
di Michele De Luca

L'impegno di Assadour (Beirut, 1943), è stato da sempre orientato a non irrigidirsi nelle strettoie di un formale accademismo, cui invece sembra tendere, in generale, l'incisione di oggi; il suo progredire nella ricerca iniziata sui banchi dell'Accademia Pietro Vannucci di Perugia e dell'Ecole de Beaux-Artes di Parigi, dove vive dal 1964, frutto di una serie illimitata ed instancabile di studi, esperimenti, citazioni e rimandi, correzioni e aggiunte, offre nei suoi lavori una sorta di palcoscenico in cui si svolge uno spettacolo nel quale ogni elemento concorre a creare, in un labirinto inestricabile, una vera goduria per lo sguardo ed una forte emozione nell'anima. In una specie di sintesi di tutte le espressioni artistiche, e delle indagini contemporanee, le sue opere, proiettandosi fuori dei suoi materiali confini, allargano all'infinito lo sguardo di chi vi si pone davanti e si lascia "rapire" in una sorta di caleidoscopica fantasmagoria di segni e di luci, densa di una inattesa e misteriosa malinconia.

A questo vero mago del colore, inventore e dispensatore per il suo pubblico di "viaggi" affascinanti e ricchi di suggestione, apprezzato in tutto il mondo per l'inesauribile fantasia da cui nascono le sue opere (ha esposto in prestigiose sedi dislocate nei più lontani angoli del pianeta, da Parigi a Osaka, da Bruixelles a Roma, da Grenoble a Tokyo, da Matera a Lima, da Taipei a Spoleto, da Tolentino ad Amsterdam, da Reggio Emilia a Lione), che ha partecipato alle più importanti Biennali (Venezia, Cracovia, Buenos Aires, Toulon, Belgrado), ricevendo tantissimi premi di prestigio, come, nell'ormai lontano 1984, il Grand Prix des Artes de la Ville de Paris, la Fondazione Pericle Fazzini e la Fondazione Tito Balestra dedicano un'importante mostra dislocata negli splendidi spazi delle rispettive sedi, e cioè nel Museo Fazzini di Assisi e nel Museo Balestra nel Castello Malatestiano di Longiano (Forlì Cesena), volendo con questa iniziativa congiunta rendere omaggio ad un artista che fu amico apprezzatissimo sia dal grande scultore marchigiano (al quale peraltro la Fondazione di Longiano dedica una mostra di disegni e piccole sculture) che dal raffinato e colto poeta romagnolo

La mostra di Assisi accoglie quarantasei opere tra dipinti, acquarelli e incisioni datati 1995-2008; quella di Longiano, che fa da corollario a un seminario sull'acquaforte, presenta quarantacinque opere tra acquarelli, disegni e incisioni datati 1967-2008 e si inaugura il 30 aprile. Per l'occasione, nella raffinata collana "Laboratorio" (giunta così all'ottavo titolo) di De Luca Editori d'Arte, esce il catalogo curato, come la mostra assisiate, da Fabrizio D'Amico, il quale, ricordando l'apprezzamento che di lui ebbe Libero De Libero, che nelle sue prodigiose acquetinte suggestivamente intuiva e scopriva "visioni tra il pieno e il vuoto d'una solitudine", tra l'altro, scrive: "Pensando ad Assadour, a questo soteriologico, afrodisiaco induttore fuori generazione ... non si può immaginarlo altro che circonfuso di 'se': di ipotesi, di interrogativi. Semmai destinati a non aver risposta. L'ha spiegato molto bene, anni fa, Enzo Bilardello: che fra le fonti infinite che servirebbe rammentare per lui, distese dal deserto al Mediterraneo alla sua Parigi, dagli egizi ai romani agli arabi fino ai due 'contuberni Klee e Kandinsky', la tentazione è di buttare all'aria le carte, rimescolarle tutte e infine, in ottica critica, 'alzare bandiera bianca'. O forse si può fare l'inverso - continua D'Amico -: dire di quel che - mi pare - si sia lasciato indietro, Assadour-le-Métèque, libano-afgano-francese, nel corso degli anni, e in particolare in quest'ultimo decennio, il cui fitto lavoro si raccoglie oggi ad Assisi - acquarelli e tempere in serie prestigiosa, e le prodigiose acquaforti-acquatinte. Prima fra tutte - fra quanto Assadour ha lasciato alle spalle - sta certamente quella vocazione che è pur stata sua, e che molta esegesi su di lui ha confermato, a ordinare le sue visioni all'interno d'una gabbia prospettica che scende da Leon Battista Alberti, da Piero della Francesca, da Luca Pacioli. Sull'adozione della quale, per certo, hanno inciso gli anni della formazione italiana, spesi fruttuosamente all'Accademia Vannucci di Perugia. Ma che oggi è interamente elusa, in favore di uno spazio tutto di superficie, che sulla prima pelle del dipinto rigetta e affastella tutti gli elementi della 'storia'. È lì che si danno convegno, gli 'oggetti' di Assadour: semiassi e rotelline, lune, lettere e numeri, ingranaggi, machineries, sfere e semisfere, cinghie rotanti, cupole rovesciate, nastri trasportatori (debitori del futurismo, di dada, o di Chaplin?; o forse un po' di tutto questo insieme?), e adesso persino quei personaggi coloratissimi (che, ripensando le poupées di suoi anni lontani, sono fatti di quell'arcobaleno di colori che stupiva un Melotti ammirato e voglioso) visti talvolta attraverso - sembra - l'oblò di una lavatrice in modalità centrifugante. Lì, sul piano. Specchiati sulla superficie dove, senz'ordine e disciplina, senza nemmeno un grano residuo di gerarchia, convivono: dandosi semmai l'un l'altro qualche spintarella per entrare nel cuore dell'immagine".

E' stata spesso evocata, riguardo ad Assadour, l'ombra feconda del Pictor Optimus; ma - come fa notare il curatore della mostra - l'artista di oggi, nelle sue espressioni più mature di un'incontenibile ed insaziabile ricerca, appare "troppo carico, rigoglioso, felice" per essere avvicinato all'attesa carica d'ansia e alla malinconica metafisica dechirichiana. Può forse più appropriatamente parlarsi per lui di un'eredità dada-surrealista, che lo porta a sfiorare l'iperbole e l'azzardo inventivo, mentre sciorina, per la gioia di chi ami davanti ai suoi lavori , come diceva Pessoa, "perdersi a guardare", tutto un repertorio di segni e folgori cromatiche che rimandano inevitabilmente a Kandinsky.

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