La caduta del regime di Tito e la conseguente dissoluzione della Jugoslavia, ha aperto la strada non soltanto ai nuovi nazionalismi, ma anche all'Islam inteso come movimento religioso e politico transnazionale che, in questi ultimi anni, è stato fortemente connotato da influenze jihadiste. Non a caso, da tempo in Bosnia, Kosovo, Sangiaccato, Macedonia, Montenegro operano diverse cellule ben organizzate che si rifanno esplicitamente ad Al Qaeda interessata a fare proseliti soprattutto tra la gioventù kosovara. In questo contesto, un ruolo di fondamentale importanza viene svolto dai religiosi, che stanno facendo delle moschee luoghi di culto politico più che religioso, e dalle ben finanziate (soprattutto dall'Arabia Saudita wahabita dall'Iran e dal Pakistan) 'organizzazioni umanitarie islamiche', impegnate nella costruzione di ospedali, ma anche di moschee e centri di studio atti a propagandare una forma di revanchismo musulmano che nulla ha a che vedere con il credo tradizionale professato da secoli dalle minoranze islamiche dell'ex Iugoslavia. L'obiettivo di tali organizzazioni è infatti quello di fare della fede islamica uno strumento politico e soprattutto militare. Negli ultimi cinque anni, in Bosnia, in Kosovo, ma anche in Macedonia, sono sorte infatti numerose scuole religiose utilizzate per istradare i giovani verso una forma di islam militante, collegandosi spesso, a questo scopo, con i network terroristici locali e internazionali dai quali ottengono fondi anche derivanti dal narco-traffico. Per fare un esempio, dei circa 1,5 trilioni di dollari (cifra che rappresenta l'insieme dei proventi del crimine organizzato mondiale) una buona percentuale di incassi risulta frutto dei proventi derivanti dal narcotraffico balcanico: un'area che comprende anche l'Albania settentrionale.
Il vasto 'santuario' verso il quale convergono tutte le risorse finanziarie e umane che fanno riferimento ad al-Qaeda si colloca quindi nei Balcani sud occidentali e, nella fattispecie, nel Sangiaccato serbo: regione di notevole importanza strategica in quanto incuneata tra Kosovo, Montenegro e Bosnia. Il Sangiaccato (in serbo, croato e bosniaco Sandžak o ??????, in turco Sancak) è una regione suddivisa tra Serbia e Montenegro che deve il suo nome all'unità amministrativa del Sangiaccato di Novi Pazar, una partizione territoriale ottomana che rimase in vigore fino alle guerre balcaniche del 1912. Nell'ottobre di quell'anno, la regione venne strappata ai turchi dalle truppe serbe e montenegrine (alleate durante la Prima Guerra Balcanica) che poi se la spartirono.
Nel marzo del 2007, la scoperta di un campo di addestramento fondamentalista alla periferia della città di Novi Pazar, unitamente al ritrovamento di ingenti quantitativi di armi, munizioni ed esplosivi, ha fatto chiaramente intendere che il fenomeno dell'islamizzazione estremista islamica ha ormai valicato i confini della vicina Bosnia-Erzegovina. D'altra parte, fu proprio il conflitto di Bosnia a sancire l'esordio di Al Qaeda (da sempre interessata a costituire una base permanente nei Balcani) come forza in grado di agire a livello internazionale per colpire l'Occidente all'interno dei suoi stessi 'confini' geopolitici.
Successivamente, con la fine della guerra, centinaia di combattenti mujaheddin confluirono ordinatamente nella società civile, pronti comunque ad agire, preparando il terreno alla silenziosa (mica tanto) penetrazione fondamentalista nei Balcani. Oggi come oggi, stando al parere degli esperti, il pericolo maggiore è rappresentato dall'intesa da gruppi wahabiti salafiti e organizzazioni terroristiche islamiche globali: un'alleanza più che plausibile che potrebbe mettere a punto - grazie anche alla connivenza dei gruppi bosniaci della diaspora europea - attacchi contro truppe e missioni diplomatiche occidentali.
Per quanto concerne il Montenegro, da un rapporto stilato la scorsa estate dai servizi di sicurezza di Podgorica, si evince che sul territorio della giovane repubblica sarebbero presenti diverse centinaia tra agenti e guerriglieri salafiti (il salafismo è un attaccamento cieco alla tradizione degli anziani e di chi precede, salaf) pronti anch'essi ad entrare in azione al momento più opportuno. E se si pensa che, entro il 2050, circa la metà della popolazione diverrà, grazie anche all'elevato tasso di natalità, musulmana, ciò fa intendere che qualsiasi iniziativa di tipo sovversivo potrà sbocciare in un ambiente più che idoneo, mettendo a repentaglio il futuro di questo antico Stato balcanico. Per la cronaca, attualmente, oltre il 74% dei montenegrini si professano cristiani ortodossi (pochi i cattolici, presenti più che altro nell'area di Cattaro) mentre gli islamici, che ammontano a 110.000 unità (il 17,74% della popolazione) sono suddivisi in due etnie principali: quella albanese e quella slava bosniaca (o bosgnacca). I musulmani albanesi vivono soprattutto nel sud-est del Paese, dove formano la maggioranza della popolazione. Mentre i bosgnacchi si collocano nel nord-est.
Passiamo ora alla Repubblica di Macedonia che, proprio in questi ultimi due anni, ha fatto registrare forti insofferenze da parte della robusta minoranza etnica (musulmana) albanese che costituisce ben il 35% dell'intera popolazione. A sette anni dalla firma dell'Accordo di pace di Ohrid dell'agosto del 2001 che pose termine alla breve guerra civile (marzo/giugno del 2001) tra forze regolari macedoni e guerriglieri albanesi, la situazione è ritornata a farsi pericolosa, se non esplosiva. Gli odi etnici che erano riemersi nell'agosto 2007 a Goshince: località ubicata lungo il confine settentrionale con il Kosovo. Qui si verificò anche un attacco ad una caserma macedone rivendicato da Xhezair Shaqiri, un ex combattente dell'Esercito di Liberazione Nazionale (NLA) e vice-presidente della radicale Unione Nazionale Democratica, intenzionato a coinvolgere gli abitanti del villaggio di Tanushevci e dei borghi limitrofi a sostenere un referendum per l'annessione al Kosovo. Ma c'è dell'altro. Nel mese di settembre, anche presso il villaggio di Vaksince si sono verificati scontri con morti e feriti e il successivo 7 novembre 2007 forze speciali della polizia macedone hanno compiuto una vasta retata nella provincia di Tetovo, nei pressi del confine kosovaro, roccaforte della minoranza albanese del paese. L'operazione, chiamata Tempesta di Montagna, si è conclusa con un bilancio di otto guerriglieri albanesi uccisi, dodici arrestati e ingenti quantitativi di armi sequestrati. Il presunto leader del gruppo albanese sgominato, Lirim Jakupi (noto anche come "Comandante Nazi"), è riuscito a farla però franca. Ex miliziano della guerriglia irredentista in Kosovo, Jakupi, spostatosi da tempo in Tetovo per proseguire la lotta di liberazione delle minoranze albanesi, è noto anche per il presunto coinvolgimento in numerosi traffici illegali di armi e droga. Nel corso dell'operazione, oltre a sequestrare un grosso quantitativo di armi (pezzi di artiglieria, granate, lanciamissili) che, secondo gli esperti, sarebbero bastate ad equipaggiare almeno un battaglione, le forze macedoni hanno rinvenuto materiale propagandistico islamico e manuali per l'addestramento dei guerriglieri. Tenendo altresì conto dei delicati equilibri che in Macedonia intercorrono tra radicalismo e secolarismo musulmano, l'indipendenza kosovara ha di fatto aggravato la già precaria situazione del Paese già minata da una forte conflittualità politica interna. Sta di fatto che l'autoderminazione del Kosovo rischia purtroppo di favorire il terrorismo islamico interessato a trasformare il neonato stato in base operativa utile per colpire sia l'odiata Serbia che l'Occidente. Albania, Kosovo, Macedonia, Montenegro e la regione ellenica dell'Epiro, aree che rientrerebbero nei confini della cosiddetta 'Grande Albania'. Ragione per cui risulterebbe opportuno da parte dell'Europa comprendere e separare la questione della formazione delle identità nazionali (vedi quella del Kosovo) da quella religiosa, in modo da potere individuare, combattere e staccare dai movimenti indipendentisti balcanici a forte componente islamica la presente e articolata componente fondamentalista che si pone ben altri più oscuri obiettivi che non la lecita battaglia ingaggiata da un popolo per ottenere la propria indipendenza.