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l'oppio dei popoli
di Teddy Martinazzi

Rai International, l'unica opportunità di seguire una stazione televisiva italiana negli altri continenti, si chiama così non in odio all'Inter, che tutto il mondo chiama Internazionale, ma in semplice e diretta conseguenza dell'italica esterofilia. D'altronde chi ebbe modo di seguire dall'estero i mondiali di Italia 90 si accorse che termini come "ammonito", "espulso" o "rigore" erano stati sostituiti con gli equivalenti inglesi, così che il mondo perse l'occasione di imparare qualche parola di italiano.

Rai International trasmette i telegiornali del TG3 che, in omaggio al melting pot prossimo venturo, prima ha assunto per le cronache del Lazio un giornalista africano, poi una conduttrice che oltre al nome e cognome stranieri, (e fin qui, come nel caso dell'africano, non ci sarebbe niente di male) legge le notizie con accento straniero, alla faccia di tutti coloro che seguono Rai International per imparare l'italiano (e sono moltissimi, soprattutto tra i nuovi cittadini all'estero, discendenti da emigranti italiani).

La signora in questione, riferendo le parole di condanna del Presidente Napolitano nei confronti di quei politici che sono presi dalla smania di apparire in TV, ha tranquillamente letto "smanìa", forse per assonanza con mania. Subito dopo ha cambiato per due volte l'aggettivo elettrico in "ellettrico". Ma bisogna essere tolleranti, visto che nel corso della stessa edizione una sua collega sicuramente italiana, in un servizio sull'antichissima festa di Ururi, nel Molise, ha detto osservanza al posto di osservazione, quasi che invece di una corsa di buoi si fosse trattato di una gara tra francescani e domenicani.

Ma ci sono anche giornalisti bravi, in verità. Bravissimi sono coloro che in tutte le cronache sulla Birmania riescono a nascondere che i generali al potere in Birmania dal lontano 1962 non sono superiori del colonnello Papadopoulos e nemmeno subalterni del generalissimo Franco, ma sono semplicemente comunisti. Un giornale radio, non contento di parlare di dittatura, che nell'immaginario collettivo puzza sempre di destra, ha addirittura parlato di "dittatura fascista".

In realtà i generali birmani hanno tolto solo nel 1990 il termine comunismo dai loro documenti ufficiali, così come hanno cambiato la Birmania in Myanmar e Rangoon in Yangon, ma provengono tutti dal vecchio Partito (unico) del Programma Socialista e tutti sono corresponsabili di quarantacinque anni di dittatura (comunista) e della feroce repressione del 1988.

Ma non si possono criticare solo i giornalisti. Mezze calzette e vecchie ciabatte della politica (rigorosamente divise tra una parte e l'altra) hanno la smania (o si deve dire smanìa?) di apparire ogni giorno in televisione per dire la loro, così come fanno certi guru del pensiero debole che spaziano su tutti gli argomenti, dalla religione al lato B (un tempo si chiamava diversamente) della Miss Italia.

Adesso va di moda mettersi addosso qualcosa di rosso per solidarietà con i monaci buddisti; lo fanno anche coloro che per anni sono stati arciconvinti che la religione è, marxianamente, l'oppio dei popoli, forse lo fa anche quel filosofo che in televisione, interrogato su cosa fosse per lui lo spirito, ha risposto che lui lo spirito lo va a cercare in birreria.

Se la televisione è lo specchio di un Paese e la politica la sua anima, non c'è da stare allegri. Al cronista lontano non resta che aumentare la dose di cachaça nella sua caipirinha serale e andarsene a dormire, dopo essersi assicurato di aver spento per bene il televisore.

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