Proprio così. La caipirinha è una
sola e va capita. Il fatto che si prepara
con la cachaça, le limette (una volta
dette lumíe), lo zucchero di canna e il
ghiaccio tritato, autorizza ogni barman a
sostenere che ognuno è libero di farsi la
caipirinha che gli pare. Più o meno forte,
più o meno dolce, con più o meno limette,
con altra frutta, con la cachaça o senza e
cioè con vodka, whisky, rum, tequila e
magari champagne. Caipirinha? È presto
fatta. Bastano gli ingredienti, e avanti col
blender e col tumbler.
Questa scuola di pensiero,
diciamolo, è bassa
cultura dello shakeraggio,
pseudoliberale,
tutt'altro che modernista.
La caipirinha
non è un drink e neppure
un cocktail. E
non è cosa, meno che
mai, da frullatore. Non
ci sono caipirosche o
caipirissime che tengano.
La caipirinha è
un'opera d'arte, è una
sola e va capita.
In Brasile è arcinoto,
ma fuori del Brasile
non tutti sanno che
ai sensi del decreto
federale 4851 del 2003,
firmato dal presidente
Lula, la caipirinha è
bevanda tipica brasiliana
a base di cachaça,
e che per cachaça
s'intende l'acquavite di
canna prodotta in Brasile,
in termini esclusivi
e controllati. Come
unica forma di flessibilità,
il decreto prevede
che la vera caipirinha
di cachaça possa
oscillare da un minimo di 15 a un massimo
di 36 gradi alcolici a 20 gradi centigradi
di temperatura, a parte il ghiaccio, le
limette e lo zucchero.
Il legislatore, per forza di cose, sorvola
su una questione fondamentale. La caipirinha
va anche capita. E non è cosa semplice,
perché il suo nome country è fuorviante per
il resto del mondo. Caipirinha, alla lettera,
vorrebbe dire cosetta, sfizio dei caipiras, i
contadini dell'interno. In italiano sarebbe
villanella, campagnola, bevanda genuina e
sempliciotta. Ed ecco l'errore. La caipirinha
è complicata da capire. Uno può andare con
gli amici in pellegrinaggio nei santuari della
cachaça, entrare in un locale di quelli giusti,
ordinare la cena e chiedere di avere subito
una caipirinha. E all'improvviso se la trova
davanti, fresca e con le cannucce divaricate
che pescano nel bicchiere imperlato, di
quelli a bocca larga e scanalati come colonne
doriche. Uno prende il bicchiere e lo porta
al naso, s'inebria di caipirinha, perde la testa
e si fa largo tra le cannucce per baciarla in
punta di labbra, quindi resiste alla voglia di
un sorso libero, si attacca alle cannucce e
prosciuga tutto nel giro di dieci secondi.
Senza capire niente.
È il momento di fare una riflessione.
Perché le cannucce sono due? Semplice:
per favorire il tiraggio. È un concetto caipira
di oggi, valido pure per l'água de
coco, ma è anche una legge della fisica.
Con le cannucce in parallelo la caipirinha
finisce subito, non la capisci e te ne
serve subito un'altra. Per questa ragione
c'è chi suggerisce di togliersi prima la sete
con uno o due bicchieri d'acqua. Il sistema
è fallace, perché appaga il desiderio
con acqua volgare e pregiudica la capacità
di capire la caipirinha. Perché, diciamolo,
il desiderio sta a monte del ragionamento
ed è premessa necessaria per capire le
persone e le cose, tutte quante e non solo
la caipirinha. Per capire ci vuole sempre
tempo. In questo mondo consumista e
frenetico del precotto, del voglio e bevo
tutto subito, del kit per farsi la caipirinha
sul treno con bicchiere di vetro incorporato,
il concetto è complicato da capire.
Per non dire che bere dell'acqua prima
della caipirinha puzza di taccagneria, ed
è anche mancanza di rispetto per le buone
cose di ottimo gusto.
Fatta questa riflessione, ci permettiamo
di suggerire che se si vuole capire la caipirinha
si deve fare appello alla cultura della
precarietà e della lentezza, che è cosa
squisitamente umanistica, con un occhio
rivolto, meglio ancora con due alle leggi
della fisica, disposizione prettamente
scientifica. Dobbiamo tuttavia confessare
che alla soluzione che stiamo per proporre
non saremmo mai giunti da soli. Abbiamo
dovuto attingere alla saggezza caipira.
Saggezza antica, lenta e generosa, inaccessibile
agli umanisti europei che presumono
di sapere tutto della natura e dei suoi sapori,
al punto di illudersi che la bontà del cacio
con le pere sia un'antica scoperta umanistica,
da tenere accuratamente nascosta al
contadino.
Ed ecco il trucco. Quando arriva la caipirinha,
resistete alla tentazione di aggredirla.
Lasciate passare qualche secondo,
quindi sfilate con eleganza una cannuccia
dal bicchiere e innestatela nell'altra, tenendo
quest'ultima ferma dov'è, possibilmente al
primo tentativo ed evitando di dare nell'occhio.
Per fare questo è richiesta una certa
abilità, che si ottiene esercitandosi in casa
fino a raggiungere un buon livello di disinvoltura.
Non occorre descrivere ai commensali
l'operazione che state compiendo. Loro
comunque penseranno che siete dei maleducati,
perché avreste potuto servirvi di una
cannuccia sola. In realtà si sbagliano, e voi
siete dei pionieri. Se le cannucce sono del
tipo a cucchiaino dal lato del pescaggio,
l'operazione risulta più semplice. Con le
cannucce normali è decisamente
più complicato,
ma non è il caso di
fare drammi, non è come
infilare il filo nella cruna
dell'ago al primo
colpo. Quando avrete
finito sarete al centro
dell'attenzione generale,
ed è questo il momento
di commentare
il senso della vostra
operazione. Fate riferimento
ai cavi del computer,
e spiegate agli
amici che dai cavi con
presa seriale passano
meno informazioni rispetto
ai cavi con presa
parallela, e che la caipirinha
in viaggio dal
bicchiere alla bocca
non è un pacchetto di
informazioni binarie.
Aggiungete che la connessione
che avete realizzato
tra le vostre due
cannucce non è perfetta,
e che lo sfiato della
connessione sommato
alla maggiore lunghezza
della cannuccia
rallenta il tiraggio e
richiede più forza di
aspirazione. Concludete chiarendo che,
con il tiraggio precario, la caipirinha
perviene alla bocca in minore quantità, e
che proprio per questo disseta e soddisfa
di più. Detto ciò, non avrete altro da
aggiungere. Iniziate a degustare con il
dovuto distacco, e cioè senza sollevare il
bicchiere. Potete permettervelo.
Nella vita è tutta questione di convenzioni.
Farete scuola senza passare per
taccagni. E ricordatevi che la caipirinha
doc è definita per decreto, ma che ogni
caipirinha va capita, e che la lentezza è
garanzia di migliore conoscenza delle cose
che sono in quanto sono, e di quelle che
non sono in quanto non sono. Perché il
piacere, diciamolo una volta per tutte, risiede
sempre nell'indugio e nella lentezza.