Il portavoce, come dice la stessa parola, dovrebbe essere una persona che riporta il pensiero di qualcun altro o del direttivo di un'organizzazione. Laura Boldrini, invece, da portavoce dell'UNHCR, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, esprimeva come se fossero proprie, e probabilmente lo erano, opinioni estremamente negative sull'operato del governo italiano in materia di accoglienza.
Se fosse successo in un altro Paese, il capo del governo avrebbe fatto alzare il telefono a qualcuno dei suoi collaboratori per chiedere spiegazioni; se la portavoce parlava a titolo personale se ne sarebbe chiesto l'immediato licenziamento, se invece parlava a nome dell'UNHCR si sarebbe chiesta un'immediata correzione di linea, pena la chiusura dell'erogazione dei fondi da parte dello Stato interessato. La Boldrini parlava invece in Italia e il governo di Berlusconi non reagì mai alle continue bacchettate, soprattutto quelle sferrate quando dalla Libia di Gheddafi non riusciva a partire nemmeno un clandestino.
Dopo Berlusconi da redarguire e strapazzare, Laura Boldrini ha trovato un altro statista di rango, Bersani, che l'ha voluta presidente della camera dei Deputati nonostante lei fosse espressione di un partito, SEL, che alle elezioni aveva ottenuto poco più del tre per cento dei voti.
Arrivata dove nessuno ipotizzava potesse finire, probabilmente nemmeno lei stessa, ha interpretato la sua non come una carica super partes, bensì con lo stesso spirito di quando era portavoce, toccando il massimo a Pasqua, quando ha ufficialmente adottato due pecore, per sostenere il boicottaggio dell'agnello pasquale. Per la prima volta si è trovata in perfetta consonanza con Berlusconi, il quale, a seguito di un sondaggio, ha deciso di abbracciare la causa animalista, un po' meno in consonanza con i residenti delle zone terremotate, che sull'allevamento degli ovini fondano una parte molto consistente della propria economia.
Ma l'occasione per restare nella storia della Camera la Boldrini l'ha avuta imponendo che nei resoconti parlamentari venga usato il termine deputata quando un intervento è stato fatto da una donna. Grande cosa, di cui sono giustamente grate milioni di ragazze e donne italiane disoccupate o sottopagate.
Sulla scia della Boldrini, emuli e pedissequi imitatori hanno cominciato a declinare al femminile tutte, o quasi, le cariche dello Stato. Abbiamo così ministra, sindaca e si sta affacciando prefetta. Resiste il termine sottosegretario, perché la parola segretaria nell'immaginario collettivo viene spesso associata ad una visione di impiegata esecutiva; talvolta ha anche un certo doppio senso pruriginoso, per cui sottosegretaria assumerebbe decisamente una dimensione offensiva. Ma se sottosegretario non può essere declinato al femminile, non dovrebbero esserlo nemmeno le altre cariche, che, tra l'altro, al femminile sono allucinanti, come ha dichiarato Re Giorgio.
Se si devono declinare tutte le cariche al femminile, allora bisogna femminilizzare anche quelle militari e dire marescialla, capitana, colonnella. Sarebbe una grande vittoria per il ministro, anzi la ministra della Difesa Pinotti, che festeggerebbe insieme alle ministre Boschi e Madia. Una grande vittoria che farebbe mettere nell'ombra la lettera che da Bruxelles è arrivata al nostro governo per chiedere una patrimoniale e l'allungamento della prescrizione. La patrimoniale verrebbe nascosta dietro una sigla, come fece, e poi ammise a posteriori di averlo fatto, il senatore a vita Monti; la lettera è come quella che ricevette Berlusconi, che a posteriori Brunetta ha ammesso che era farlocca.
articolo pubblicato il: 23/05/2017 ultima modifica: 03/06/2017