Tarda serata del 27 aprile. Il consueto giro tra i principali lanci d'agenzia della giornata appena trascorsa. Una giornata come tante altre. Un susseguirsi continuo di notizie assurde che, ormai, non stupiscono più di tanto. L'ennesima dichiarazione di Putin contro lo scudo missilistico statunitense. La condanna della Franzoni a sedici anni di carcere. L'attesa per lo scontro elettorale che traccerà la linea guida per le alleanze politiche di mezza Europa. L'assoluzione in Corte d'Appello per Berlusconi nell'ambito del processo Sme. Il bacio in pubblico di Richard Gere che potrebbe condannarlo a mesi di carcere in India. Poi, inaspettatamente, scorrendo in ordine di importanza le varie agenzie, una serie di lanci, provenienti da differenti fonti, riguardanti la pena di morte.
Ore 8:32. Reuters comunica che in Giappone sono avvenute tre impiccagioni. I tre giustiziati, che erano detenuti nelle prigioni di Tokyo, Fukuoka e Osaka, rei, in totale, di otto assassini per motivi di lucro, rappresentano la seconda serie di esecuzioni autorizzate dal nuovo primo ministro Shinzo Abe, insediatosi a fine settembre. Il ministro della giustizia Jinen Nagase, convinto sostenitore della pena capitale, soprattutto come metodo per svuotare le sovraffollate carceri, ha fatto firmare i decreti per le condanne durante l'ultima seduta del parlamento prima del lungo ponte di inizio maggio (in Giappone viene chiamato 'golden week') così da non dover affrontare le critiche dell'opposizione. Lo scrupoloso ministro Nagase, seguendo l'indicazione programmatica del premier Abe ("Costruire un Giappone attraente"), metterà nuovamente mano alla lista degli oltre 100 condannati per dare un forte segnale di ordine e per diminuire il numero dei detenuti nel braccio della morte. Nei quindici anni precedenti all'insediamento di Abe non era avvenuta alcuna esecuzione; per il nuovo primo ministro questa rappresenta la giusta strada per aumentare l'efficienza del paese.
Ore 9:29. Agi rafforza la notizia appena giunta dal Giappone. In Texas, nel penitenziario di Huntsville, è stato giustiziato un trentenne colpevole di aver ucciso, nel 1994, una coppia di commercianti mentre tentava di rubare alcune lattine di birra. Dall'inizio dell'anno questa rappresenta la quindicesima esecuzione avvenuta negli Stati Uniti (di cui tredici nel solo Texas). Il condannato, prima dell'iniezione letale, si è congedato chiedendo perdono ai familiari delle vittime e salutando la propria famiglia.
Ore 11:20. Il Pensiero Scientifico Editore pubblica sul web la traduzione dell'editoriale della rivista americana Plos Medicine. Secondo una recente ricerca, l'iniezione letale, introdotta nel 1982 in quanto considerata meno cruenta, rappresenta un protocollo assolutamente non indolore. La morte, che dovrebbe sopraggiungere in sette minuti mentre il condannato si trova in uno stato di totale incoscienza, a causa di errori nella somministrazione delle sostanze, troppo spesso arriva dopo una lenta e cosciente agonia. L'articolo si chiude con un giusto tentativo di risvegliare molte coscienze americane sopite affermando che "non esiste un modo più umano per ammazzare qualcuno".
Ore 11:40. Tutto e il contrario di tutto. Asca riferisce le ottimistiche dichiarazioni di Irene Khan, segretario generale di Amnesty international, a Roma per il rapporto annuale sulla pena di morte nel mondo. La diminuzione del numero totale delle esecuzioni (passato dalle 2.148 morti del 2005, alle 1.591 dell'anno appena trascorso) si pone in ironica contraddizione con le agenzie lanciate pochi minuti prima. La Khan parla poi di un "nocciolo duro" di esecutori, responsabili del 91% delle pene capitali - Iran, Iraq, Sudan, Pakistan, Usa e Cina (responsabile, secondo stime non ufficiali, di quasi 8000 morti ogni anno) - ormai in controtendenza rispetto alle linee guida globali. Gli stati che non hanno ancora eliminato la pena di morte sono 69 ma, secondo il segretario generale, molti di questi hanno, di fatto, rinunciato ad applicarla: il Giappone era, fino a pochi mesi fa, inserito in questa lista di quasi virtuosi.
Nel giro di poche ore è emersa tutta la contraddittorietà della questione. Dal Giappone, dagli States e dall'Italia quattro notizie apparentemente incongruenti tra loro che obbligano a riflettere sulla gravosa problematica della pena di morte ma anche sul sistema globale di informazione: se i singoli cittadini avessero voglia di utilizzare le infinite fonti che la rete mette a disposizione, otterrebbero delle conoscenze così vaste e approfondite da poter sfuggire all'indottrinamento e alla tematizzazione dilagante che gli attuali media (sia cartacei che televisivi) propinano.