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storia
i cinquecento anni del Valentino
di Carla Santini

A cinquecento anni dalla morte Cesare Borgia ancora non trova pace. Nella notte tra l'undici ed il dodici marzo del 1507 il Valentino, come era comunemente conosciuto in tutta Europa, rimase vittima di un'imboscata - lui che di imboscate agli altre se ne intendeva - nella città di Viana, nell'antico regno di Navarra. Fu subito sepolto nella cappella maggiore della chiesa di santa maria, la principale della località, sotto un'epigrafe che recitava: "Qui giace in poca terra colui che da tutta era temuto".

Quando la parte meridionale del regno fu annessa alla Spagna un vescovo ordinò di traslare la salma sulla via principale "per essere calpestata da uomini e bestie". Ora sembra che il vescovo di Pamplona non abbia nulla in contrario a far riportare i resti all'interno della chiesa, dove una nuova lapide è stata posta nel lontano 1953 con la dicitura "Generalissimo degli Eserciti di Navarra e pontificio".

Di Cesare Borgia si sono sempre dette, ancora fino ad oggi, alcune inesattezze. La prima che il cognome, originariamente Borja, fosse stato trascritto dagli italiani incapaci di pronunciare la jota gutturale spagnola. In realtà il processo di gutturalizzazione della jota a quell'epoca era ancora agli inizi e molti spagnoli la leggevano dolce, come ancora oggi i francesi ed i portoghesi. Borgia, quindi, come esatta trascrizione di Borja.

La seconda è che il soprannome con cui fu universalmente conosciuto, "Il Valentino" gli venisse dal territorio del Valentinois, del quale era diventato duca grazie al matrimonio con Charlotte d'Albret, nipote del re di Navarra. In realtà Cesare "Valentino" lo divenne adolescente, quando Alessandro VI, suo padre, lo fece vescovo di Valencia e poi cardinale, "Cardinalis valentinus", secondo la formula.

Dettagli a parte, la figura di Cesare Borgia, a cinquecento anni esatti dalla morte, riesce ancora a dividere gli storici. Fu indubbiamente un uomo feroce, figlio, al pari dei suoi due fratelli e della sorella Lucrezia, di un Papa corrotto e di Vannozza Cattanei, tenutaria del più rinomato bordello della Roma del finire del Quattrocento. La sua indubbia ferocia però era figlia del suo tempo e capitani e politici di allora erano usi a liberarsi dei nemici, ma anche degli amici, a colpi di agguati e tranelli, particolarmente efficaci quando gli amici erano seduti tranquillamente a tavola.

La "leggenda nera" di Cesare, al di là degli avvenimenti in cui dimostrò la sua ferocia, fu alimentata dai suoi nemici; da qui l'accusa di aver fatto uccidere il fratello maggiore Giovanni, prediletto dal padre, e di essere stato l'amante di sua sorella Lucrezia. Le storie che giravano tra i contemporanei non risparmiarono nemmeno il Papa, accusato di ogni nefandezza e di essere l'amante della figlia, né il quartogenito Goffredo, pubblicamente tacciato di omosessualità, uno status che a quei tempi faceva finire sul rogo, se non si aveva un padre potente, bruciati a fuoco lento dalle radici secche di finocchio - da cui l'epiteto italiano - come contorno al fuoco principale, destinato a streghe ed eretici.

I destini di cesare e dell'Italia avrebbero potuto prendere un'altra piega se il 18 agosto 1503 Alessandro VI non fosse porto di quella febbre che aveva colpito anche il figlio, che si salvò grazie alla forte fibra ed alla giovane età. Probabilmente Cesare errò a non impedire che fosse eletto al Soglio pontificio, dopo il breve pontificato di Pio III, il terribile Giulio II, nemico giurato dei Borgia. Il nuovo Papa provvide a farlo deportare in Spagna, ma Cesare riuscì ad evadere da un munitissimo castello e a rifugiarsi da suo cognato in Navarra. Cesare Borgia probabilmente fu l'ispiratore di quel "Principe" di Niccolò Machiavelli che ancor oggi è, con il Decameron e la Divina Commedia, l'opera italiana più conosciuta, o perlomeno più citata - spesso a sproposito - in tutto il mondo.

Machiavelli era affascinato dalla figura di Cesare, presso il quale fu ambasciatore per conto di Firenze, e forse vedeva in lui il personaggio in grado di cambiare i destini d'Italia, magari con un'unificazione con trecento anni di anticipo. Probabilmente Machiavelli non pensava affatto a quest'ipotesi e si tratta di esagerazioni di studiosi di epoca risorgimentale dell'opera del Segretario fiorentino. Resta il fatto che Cesare per qualche tempo riuscì a consolidare e ad ingrandire i domini pontifici nell'Italia centrale.

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