Gli italiani non si sono forse resi conto che in nessun modo il loro Paese avrebbe partecipato alla guerra in Irak sia contro Saddam, sia per combattere sul posto il terrorismo islamico. I motivi sono noti, sono storici, comportamentali, emozionali e alla fin fine anche politici. La fortissima maggioranza della popolazione era ed è contraria a qualsiasi tipo di guerra, l’influenza della Chiesa e le parole del Papa determinanti, la stessa esistenza di un governo di centrodestra facile bersaglio di critiche e ironie in questo settore, tutto insomma influiva negativamente per una partecipazione effettiva alle operazioni belliche. Così è stato. Forse qualcuno (Berlusconi ?) sperava all’inizio, ma non e’ detto, in un terreno più fertile per poi sedersi da protagonista al successivo tavolo della pace. L’invio, ad operazioni concluse, di un contingente limitato per operazioni di sicurezza e di polizia o se vogliamo proprio dirlo di pacificazione e di protezione della popolazione civile, e’ stata una scelta positiva, ma certamente di ripiego. Lo scorso anno il Governo senti’ il polso dell’opinione pubblica e si fermò in tempo – ben altre sembravano le intenzioni – prima di avviarsi su una strada che comunque a molti interventisti appariva facile e produttiva.
Gli osservatori politici americani non si facevano del resto molte illusioni. Chi conosce la storia del nostro Paese sa bene che e' difficile puntare fino in fondo sulle parole di molti italiani. Negli USA chi segue la politica italiana sono pochi esperti che comunque fanno salti mortali per capirla. Alla Casa Bianca accettarono bene o male con comprensione quanto gli venne detto dal premier Berlusconi: per ora non se ne fa niente, quando avrete vinto ne riparleremo. L'anno scorso in Parlamento a Roma le sinistre, ma non le estreme, si astennero nel dibattito sull'Irak, avendo capito che in qualche modo il Governo al di la' delle diverse affermazioni verbali, aveva ripiegato sulle loro tesi.
Dopo la caduta del dittatore di Baghdad e l'invio delle truppe italiane le cose non cambiarono di molto, le sinistre piu' attente continuarono ad astenersi anche dopo la strage dei carabinieri a Nassyria, invitando pero' il Governo a scegliere la via dell'ONU per risolvere la compromessa e difficile situazione irachena. Poi qualcosa muta all'improvviso. L'attentato di Madrid, la vittoria di Zapatero, la Spagna che "getta la spugna", le torture e soprattutto l'approssimarsi delle elezioni europee di questo giugno, fanno entrare in fibrillazione anche la sinistra moderata italiana che, sulla pressione evidente delle estreme, cede di colpo e chiede il ritiro immediato dei militari italiani in Irak. Berlusconi si affanna inutilmente a spiegare che nel suo incontro con Bush ha appreso che si sta avviando un intervento dell'ONU ( era proprio quello che fino a pochi giorni prima chiedevano DS e Margherita). Niente da fare. Le sinistre, questa volta compatte, votano contro. Un atteggiamento che certamente non le aiutera' in politica internazionale quando e se diverranno maggioranza politica nel Paese e conquisteranno il Governo.
Pochi si sono resi conto che questa doppia svolta (o giravolta) e' stata anche di Berlusconi che per ben due volte e' corso a Washington per spiegare la situazione italiana, alla fine - senza ovviamente accettare un indecente ritiro dall'Irak su due piedi - posizionandosi su quanto richiesto dalla sinistre. E' stata una azione brillante e ben congegnata oppure un "revirement" di antica memoria? Certo il premier ha giocato le poche carte che aveva in mano con abilita' ( e qualche volta nascondendole) ma il sospetto che possa tornare la bella o brutta stagione dei "giri di valzer" non e' scomparso, anche se si e' consci che l'Italia sul piano internazionale continua ad avere ben poco da chiedere perché salvo le sue missioni umanitarie ha ben poco da dare.