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la mano del ministro
di Teddy Martinazzi

Quasi al grido di "Giustizia è fatta!" la maggioranza parlamentare ha modificato per l'ennesima volta, con il voto contrario dell'opposizione, l'esame di maturità, per renderlo "più serio".

La notizia del voto è stata presentata come una doverosa virata verso la serietà dopo il lassismo degli ultimi anni e interpretata da molti come una delle correzioni di rotta dopo le derive morattiane.

Le cose non stanno precisamente così, in quanto la riforma che aboliva i commissari esterni portava il nome altisonante di Berlinguer. Questo piccolo particolare non è stato messo molto in evidenza da alcuni organi di stampa.

All'epoca della riforma l'opposizione si oppose ed oggi ha fatto lo stesso. Giusto che l'opposizione, come lo stesso nome denota, debba opporsi, ma forse sarebbe stato il caso che questa volta avesse votato a favore, se non altro per poter legittimamente gridare "Avevamo ragione noi!".

Il senso dell'operazione che fece l'allora ministro Berlinguer era quello di mettere fine alla cronica mancanza di professori di ruolo disposti a far parte a priori delle commissioni esaminatrici e alla valanga di certificati medici presentati da molti di coloro che erano stati nominati. Il risultato, ogni anno, era che in tantissime scuole si presentavano all'ultimo momento, nei casi più fortunati, supplenti temporanei, spesso però semplici neolaureati in cerca di poche lire di legittimo guadagno che si trovavano a giudicare senza avere alle spalle una benché minima esperienza lavorativa, talvolta con risultati eclatanti per quanto concerneva i criteri di giudizio (a volte i sostituti arrivavano quando già la riunione preparatoria della commissione si era già tenuta).

Se si guardano le statistiche dei promossi, si vede che l'Esame di Stato non era più una cosa seria, nel senso di severa, dal lontano 1969, quando si ebbe la prima riforma "provvisoria" che durò un ventennio.

Senza tornare agli anni Sessanta, con i programmi completi dell'ultimo anno da portare all'esame, con riferimenti al biennio precedente, né tantomeno all'anteguerra, con i programmi completi del triennio da presentare, si potevano ampliare i poteri del presidente, rimasto sempre rigorosamente esterno, per evitare presunti inciuci dei commissari interni. Si vedrà tra breve quanti saranno i professori di ruolo disposti a lavorare per pochi euro di diaria.

Forse sarebbe più coraggioso abolire del tutto gli esami, fidandosi della correttezza professionale dei professori di classe. Il resto è solo "ammuina". Qualcuno si è mai chiesto da quanti anni, ma sarebbe più giusto parlare di decenni, non esce latino al liceo scientifico? Non esce. Eventuali professori in cattiva fede potrebbero pure evitare di insegnarlo.

Al fondo della questione, come di ogni altra cosa che riguarda la nostra scuola, c'è sempre un nuovo ministro in cerca di visibilità che vuole riformare, aggiustare, ritoccare quanto hanno fatto i suoi predecessori, imponendo la propria firma su qualche legge che dovrebbe restare nella storia, o quantomeno assicurargli un posto nei talk show. Ci fu, in anni lontani, un ministro che di fatto, dando facoltà di scelta ai singoli collegi dei docenti, abolì i tre trimestri, sostituendoli con due quadrimestri. I professori italiani lo seppero in anteprima ascoltandolo a "Bontà loro", l'antesignano dei talk show. Da sempre gli studenti avevano avuto due possibilità per recuperare le insufficienze del primo trimestre e i docenti l'obbligo di giudicarli almeno tre volte; il quadrimestre ha peggiorato le cose.

Il nome di quel ministro non lo facciamo perché non direbbe proprio niente a nessuno, come quelli di tanti suoi colleghi che tanto rumore (e tanto danno) hanno fatto quando reggevano il dicastero della pubblica istruzione e dei quali nessuno si ricorda. Il nome di quel ministro, però, appare ancora accanto ad un epiteto offensivo su un muro di viale Trastevere. Immaginiamo che sia lui stesso, con tremante mano di vecchio, che ogni tanto ravvivi con la vernice quella scritta offensiva. Così i passanti possono sapere che un giorno ci fu un ministro con il suo nome.

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