da ITALIA OGGI
Alla fine degli anni '60 vidi, prima dal cielo, poi da terra, il Muro di Berlino (Die Berliner Mauer). Mi parve una curiosa cicatrice che sfregiasse, senza alcun motivo, una città meravigliosa come Berlino. Quando cadde, in termini storici erano passati troppi pochi anni dal crollo del nazismo (dal di qua), e il comunismo (dal di là) stava autonomamente collassando, per cui, senza osare esplicitarlo, apprezzai Andreotti: «Preferisco che di Germania ce ne siano due». Una Germania unita mi faceva paura, 25 anni dopo ho cambiato idea, quella della Merkel e di Schäuble la considero l'ultimo muro di difesa, contro la minaccia egemonica dell'America liberal dei Clinton, dei Goldman&Sachs, dei «Big Data».
Come italiano i «muri» hanno sempre fatto parte del mio paesaggio ideale, le nostre città medioevali erano state costruite per migliorare la qualità di vita dei propri cittadini, quindi erano state cinte di mura per difenderle dalle invasioni straniere, per preservare i tesori d'arte accumulati, e pure per tenervi fuori i villani del feudo. Ogni sera chiudevano le porte, e dormivano felici il sonno del giusto. L'arrivo dei cannoni fecero cadere in disuso queste costruzioni di difesa, si capì che erano più utili la diplomazia, l'equilibrio delle forze, in una parola la politica, sempre però supportata dalle armi. Nei secoli aumentò in modo esponenziale la libera circolazione delle merci e delle persone. Sembrava andassimo verso un periodo di pace e di prosperità, senza mura e senza muri.
Il Muro di Berlino, di cui ricorre in questi giorni il quarto di secolo dal suo abbattimento, è stato il primo segno di un percorso all'inverso, sia quando fu costruito, sia quando fu abbattuto. Come sempre succede per i grandi eventi storici, cadde all'improvviso, la notte del 9 novembre 1989, gli abitanti delle due Berlino andarono a letto come una qualsiasi altra sera, si svegliarono senza il muro. La stessa signora Merkel era in una sauna pubblica, quando uscì dai vapori, il muro (già scritto minuscolo) non c'era più. Con le loro traballanti Trabant (la nostra Fiat Duna) attraversarono festanti il Muro. Intellettuali idioti pensarono che la storia fosse finita lì, e il capitalismo avesse vinto: mal gliene incolse. Fortunatamente, il mondo e la vita sono fenomeni più complessi per i cervelli da gallina di costoro. Anzi, da allora iniziò, a nostra insaputa, un processo inverso, si cominciò in ogni parte del mondo a costruire, in modo forsennato, «Muri». Non più muri di fortificazione, ma muri per dividere gli uomini.
Il Marocco ha eretto nel Sahara occidentale una barriera lunga oltre 2.500 km, Israele ha circondato la Cisgiordania con muraglie elettroniche (730 km), la Spagna si è autoreclusa con muri e filo spinato nelle sue enclave africane di Ceuta e Melilla, un muro di 300 km separa i ciprioti turchi da quelli greci, così il muro fra Iran e Pakistan, e quello fra Arabia Saudita e Yemen. All'avanguardia gli Stati Uniti con i loro 3.000 km di muri e recinzioni al confine col Messico. La barriera più vecchia è quella fra le due Coree, l'unica veramente impermeabile, lunga 245 km è larga 4 km. Chi l'ha vista ne parla come una striscia di terra intonsa, una delle poche zone del globo tornata selvaggia e primitiva: un sogno per Lipu e soci.
Questa mobilità che si è verificata nel mondo, specie dal Sud al Nord, sta creando una tendenza che pare inarrestabile, i «poveri» marciano compatti verso i luoghi dei «ricchi», questi si difendono erigendo muri. Caso limite il Brasile, ove il problema è arrivato addirittura nelle città, quella di Rio in particolare. Qui, il primo governo di estrema sinistra ha deciso di recintare (sic!), con alti muri, le 13 principali favelas che, vedi caso, confinano con le ville dei ricchi. Il Governo ha motivato la decisione con una locuzione incredibile («proteggere l'ambiente dalla deforestazione»), linguaggio raffinatissimo, più da New Yorker che carioca. Così il Botswana: ha costruito una barriera elettrificata, giustificandola come «difesa dall'afta epizootica» (razzismo fra neri).
Temo che il Muro di Berlino non ci abbia insegnato nulla, i muri sono tornati a dividere l'umanità, e non solo per motivi ideologici.
Individui curiosi gli europei, sono 28 Paesi e una losca burocrazia ne vuole costruire uno solo. Al di là di chiacchiere intellettualoidi, i singoli popoli non si sopportano gli uni con gli altri e addirittura nel loro interno, popoli antichi come scozzesi, catalani, baschi, veneti, vorrebbero tornare a dimensioni medioevali, ogni sera vorrebbero chiudersi a doppia mandata nel loro spazio condominiale, avere un «amministratore» che si dichiari sì europeista (a parole), ma che si occupi di loro e sul quale far cadere tutte le frustrazioni che li pervadono. E se del caso sostituirlo, a ogni scadenza contrattuale. Come fanno da secoli, serenamente, gli svizzeri, un gran popolo.
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articolo pubblicato il: 13/11/2014 ultima modifica: 21/11/2014