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la riscoperta di "Giovanni Sebastiano"

LXXV Stagione del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto

di Carla Santini

La legge cosiddetta Basaglia del 1978 non nacque dal nulla, bensì da un decennio di battaglie combattute in primis dal professore veneziano e sostenute da un vasto movimento culturale nato negli anni Sessanta.

Prima ancora che quanto si stava sperimentando nell’ospedale psichiatrico di Gorizia divenisse di dominio pubblico, in trasmissioni di approfondimento come TV7 e con servizi su quotidiani e rotocalchi si incominciò a parlare della triste situazione degli ospedali psichiatrici, ma soprattutto del fatto che si poteva finire per sempre in manicomio dietro una semplice denuncia di una moglie o di un marito che voleva liberarsi di fatto del coniuge o di un concorrente commerciale che voleva restare solo in una determinata via o piazza. La legge prevedeva anche che la denuncia potesse essere anonima, come quella di un passante che a Milano vide un uomo agitarsi furiosamente in una autovettura e chiamò il servizio che a quei tempi si chiamava La neurodeliri. In quel caso la storia finì bene perché l’uomo riuscì a convincere gli infermieri che era semplicemente preda di un terribile mal di denti.

Fu in quegli anni che l’eclettico Gino Negri affrontò da par suo il problema psichiatrico ospedaliero che stava esplodendo; lo fece con un’operina radiofonica, “Giovanni Sebastiano”, appunto nel 1967 e subito premiata con il Premio Italia.

Dietro un’apparente leggerezza, la storia di un uomo che si crede Bach e della richiesta pressante della moglie ad un dottore perché intervenga il prima possibile, si legge tutta un’altra storia, quella di un Paese che incominciava a farsi domande scottanti su un certo tipo di “assistenza” sanitaria ancora legata al concetto dell’isolamento e della reclusione e su pratiche terapeutiche invasive e devastanti, abbandonate poi negli anni.

La riproposizione di “Giovanni Sebastiano” di Gino Negri fa parte di quella continua ricerca che la Direzione Artistica del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto sta sviluppando da diversi anni a questa parte, proponendo ogni anno, accanto ad un melodramma del grande repertorio, la riscoperta di un intermezzo settecentesco e la proposta di un’opera inedita, di carattere sperimentale.

La scelta di una creazione del 1967 non fa venir meno la sperimentalità del progetto, perché l’opera di Gino Negri è preceduta da un lungo prologo su cui il regista Giorgio Bongiovanni, accompagnato dal soprano Sara Cortolezzis e dal Maestro al piano Lorenzo Masoni fa conoscere alle nuove generazioni e ricordare alle vecchie Gino Negri ed il periodo storico in cui visse ed operò. Si tratta dell’Italia, Milano soprattutto, degli anni Sessanta che aveva in nuce la Milano da bere degli anni Ottanta. Si tratta di quel periodo in cui Carosello, il piccolo spazio di spettacolo pubblicitario subito dopo il telegiornale, teneva incollati milioni di persone di tutte le età davanti al televisore; gli slogan, le canzoncine, i jingles, uditi la sera prima, la mattina dopo venivano ripetuti nelle scuole, nelle fabbriche, negli esercizi commerciali di tutt’Italia.

Gino Negri, critico, storico, musicista culturalmente impegnato con Il Piccolo Teatro di Milano, era anche questo, un uomo che considerava ogni aspetto del suo lavoro ugualmente importante, anche le musiche e gli slogan composti per Carosello. Sul palco Alberto Petricca, nel ruolo di Giovanni Sebastiano; Giacomo Pieracci, il professore; Biancamaria D’Amato, la moglie; Elena Finelli, l’infermiera; Oronzo D’Urso, l’infermiere; Diana Bovolo, il mezzosoprano; Federico Vita, Giancarlo. I giovani cantanti hanno offerto una convincente interpretazione di un testo che conteneva al suo interno termini e situazioni talvolta a loro lontani.

La scenografia scarna ma ricca di richiami di Andrea Stanisci, i costumi di Clelia De Angelis, le luci di Eva Bruno, la regia di Giorgio Bongiovanni hanno soddisfatto il pubblico presente, che ha a lungo applaudito.

articolo pubblicato il: 08/08/2021 ultima modifica: 21/08/2021

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