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politica estera
sempre più a occidente?
di Alessandro Ceravolo

L'annuncio del governo egiziano è stato talmente incisivo da bloccare sul nascere una lunga serie di polemiche e strascichi: il referendum volto a modificare numerosi articoli della costituzione è stato approvato con il 79,5% dei voti a favore. Poco importa se tutti i principali gruppi d'opposizione hanno deciso di boicottare la consultazione. Poco importa se l'affluenza, secondo stime governative, è stata del 27%. Poco importa se alcune organizzazioni indipendenti registrano una affluenza reale vicina al 5%. Poco importa se i funzionari statali sono stati condotti forzatamente a votare grazie ad un efficiente servizio di navette che li ha guidati ai seggi prima dell'inizio del loro orario lavorativo. Poco importa se corrono, incontrollate, voci di brogli elettorali. Poco importa se i partiti d'opposizione accusano il governo di aver organizzato un numero di seggi appena sufficienti per far votare il 30% dei 36 milioni di aventi diritto al voto. Tutto questo importa molto poco. Il fine giustifica i mezzi e ciò che doveva esser fatto è stato portato a compimento. Dal 26 marzo scorso l'Egitto, vinta la sua decennale battaglia per l'esclusione dalla vita politica dei gruppi islamici, può finalmente considerarsi una repubblica moderna e al passo con i tempi, in grado di indirizzare nel migliore dei modi il proprio processo di democratizzazione.

Il referendum popolare, voluto dal presidente Mubarak, ha approvato gli emendamenti (recentemente già ben accolti dal parlamento) a 34 articoli della costituzione volti a promuovere l'evoluzione democratica delle istituzioni, relegando i partiti di ispirazione islamica ai margini della scena politica, limitando le libertà personali dei cittadini e accrescendo i poteri del presidente e delle forze dell'ordine. Vediamone solamente alcuni: il nuovo art. 5 proibisce l'istituzione di partiti e l'attività politica di ispirazione religiosa; l'art. 88 prevede che il controllo del processo elettorale non sia più responsabilità dei giudici, fino a questo momento garanti della correttezza del voto, ma di una commissione indipendente nominata dal governo; l'art. 179 costituzionalizza le leggi d'emergenza del 1981 rendendo possibile l'esecuzione di arresti, perquisizioni, controlli della corrispondenza e intercettazioni telefoniche, senza alcuna autorizzazione della magistratura; rimane invece invariata la rinnovabilità senza limiti di tempo del mandato presidenziale.

L'Egitto è tradizionalmente la nazione dell'area araba più vicina alle democrazie occidentali: secondo il presidente Mubarak questi provvedimenti rappresentano la dimostrazione di come la sua repubblica abbia metabolizzato le richieste del mondo atlantico; uno stato islamico così vicino agli States da eliminare con la forza l'interferenza religiosa in politica.

Siamo nuovamente ad un passo dallo scontro tra civiltà. L'Egitto sbaglia di grosso se crede che marginalizzare gli oppositori possa giovare allo stato globale di tensione. Questo è un messaggio che non risponde ai principi basilari della democrazia e che rischia di accentuare, anche nelle sedi politiche, le incomprensioni e la diffidenza. Non è un caso se il segretario di Stato americano Condoleeza Rice, nuovamente in partenza per il Medio Oriente, pur riconoscendo il ruolo chiave giocato dall'Egitto nel processo di pace arabo-israeliano, abbia, per la prima volta nella storia americana, espresso dubbi circa un processo istituzionale intrapreso dallo stato amico. Non c'è nazione al mondo che abbia ottenuto risultati riducendo la libertà dei propri cittadini; imitare malamente l'occidente e radicalizzarne i messaggi potrà solo peggiorare la già complessa situazione.

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