Molti accostano le manifestazioni studentesche di questi giorni a quelle del '68 e del '77. Il Sessantotto fu ben diverso, equiparabile per certi versi al Quarantotto ottocentesco, ovvero cambiò radicalmente la storia d'Italia. Cambiarono tante cose, il modo di vestire dei giovani e di tanti non giovani che si adeguarono, il modo di parlare, con parole che mai prima di allora si erano sentite in pubblico se non in ambienti militari, il modo, soprattutto, di porsi di fronte all'autorità, totalmente privo di reverenza. Leonardo Sciascia ebbe a scrivere anni dopo (citazione a memoria) che un tempo gli imbecilli erano genuini, mentre oggi hanno un linguaggio forbito ed esprimono opinioni circostanziate, se pur sempre idiozie. Ciò fu possibile grazie al Sessantotto, grazie al quale tutti impararono a parlare in pubblico, anche coloro che non avevano alcunché di interessante da dire.
Nel 1977 si ebbero studenti nelle piazze, guidati dai precari dell'Università, borsisti, assegnisti, interni ed anche volontari che andavano in Facoltà senza alcun tipo di legame giuridico. Bastò che il ministro Malfatti promettesse diecimila nuovi posti di ricercatore che, stranamente, la protesta si esaurisse. Qui forse c'è analogia con le cronache correnti. Anche adesso gli studenti manifestano, ma la molla, a voler essere maligni, potrebbe essere la stessa di tanti anni fa. Tra le richieste c'è anche quella di tremila nuovi posti di professore associato; si tratta, probabilmente, di ricercatori entrati alla fine degli anni Settanta, ormai calvi e canuti, che vedono pericolosamente avvicinarsi l'età della pensione senza aver avuto il piacere di sentirsi cattedratici.
La Gelmini si arrabbia con gli studenti perché, a suo dire, fanno il gioco dei baroni. Ma gli studenti sono giovani ed i giovani, bombardati da tutte le parti dal politicamente corretto, è normale che se trovano occasione di sfogare i loro giovanili ardori lo facciano ed è sicuramente più nobile se lo fanno per motivi politici che non per fede calcistica.
Ma la Gelmini sbaglia a priori, pretendendo di imporre razionalizzazione e meritocrazia in un mondo, come quello dell'Università e della Scuola, che di certe cose non vuol sentir parlare. Luigi Berlinguer era Ministro dell'Istruzione e dell'Università, quando si trattava di due Dicasteri separati; voleva dividere la Sapienza in tredici Università, un po' sulla falsariga della Sorbona: al primo rimpasto gli levarono l'Università. Non contento, Berlinguer pensò di indire un "concorsone" per valutare le conoscenze dei docenti italiani: fu immediatamente sostituito all'Istruzione da Tullio De Mauro, uomo di profonda cultura ma non certo d'azione.
La Gelmini sbaglia soprattutto nel voler fare una riforma contemporaneamente ai tagli lineari. In tempi di vacche magre la cosa migliore da farsi è starsene cheti e non cambiare nulla dello status quo, in attesa di giorni migliori. Le riforme si fanno con le risorse, vale a dire con i quattrini; se questi mancano o addirittura si cerca di risparmiare è naturale che qualcuno si metta di traverso, in buona o in cattiva fede (il senso del bene pubblico non è stato mai particolarmente forte nel nostro Paese).
L'Università rischia di diventare la Dien Bien Phu del Governo e non sarebbe una cosa nuova. Nel lontano 1965 un Governo di centrosinistra cadde sulla proposta di istituzione della Scuola Materna statale (che ebbe luogo tre anni dopo, a DC indebolita dall'effimera riunificazione socialista). Chissà se qualche politico di centrodestra stia ora chiedendosi se era proprio urgente andare a risvegliare il fantasma del Sessantotto.
Al di là di tutto, resta il dato incontrovertibile che bisogna scorrere un paio di centinaia di nomi di Università estere per trovare, nel rating, il nome di Bologna e poi della Sapienza. Altri atenei sono più indietro nella lista, mentre alcuni (soprattutto tra quelli nati con una legge che ne imponeva l'istituzione in ogni regione e tanti privati sorti come funghi) probabilmente sono posizionati in lista dopo Università esotiche o non appaiono affatto.
Le cose indubbiamente devono cambiare, ma visti i precedenti, il cambiamento difficilmente potrà incidere a fondo su una struttura che i mutamenti li accetta solo se sono di facciata. Che poi l'Università funzioni o meno è un altro discorso.
articolo pubblicato il: 26/11/2010 ultima modifica: 27/11/2010