Quindici anni fa, il 22 marzo del 1994, nasceva La Voce di Indro Montanelli.
Il nuovo giornale nacque con grandi aspettative da parte dei potenziali lettori (più di cinquecentomila copie vendute del primo numero) ma con due difetti di fondo, uno dei quali, in particolar modo, lo porterà a vendere solo cinquantamila copie al giorno e alla chiusura dopo soli tredici mesi di vita.
Il difetto di fondo era di proporre un giornale non schierato in un momento politico in cui si stavano formando i due schieramenti che si sarebbero alternati al potere per i successivi quindici anni. Coloro che erano di destra e anche coloro che di destra non erano ma non volevano la vittoria di Occhetto, non avevano motivo di leggere un giornale diretto da un opinionista di destra che però era contro Forza Italia, mentre coloro che erano di sinistra non avevano certo alcuna intenzione di leggere un quotidiano diretto da Montanelli.
La Voce nacque dunque con questi equivoci di fondo; era un giornale che non voleva stare da una parte o dall'altra nel momento in cui la destra italiana usciva da una situazione marginale e mentre scompariva, sotto i colpi dei magistrati di Mani pulite, quel centro democristiano che aveva governato l'Italia dalla fine della guerra.
La Voce nasceva vent'anni dopo Il Giornale Nuovo (il "Nuovo" sarà tolto nel 1982, dopo la chiusura del quotidiano varesino Il Giornale con l'editore del quale c'era stato un contenzioso sul nome).
La situazione era però completamente diversa; se era stato abbastanza facile trovare lettori nell'Italia del 1974, nel pieno della sterzata a sinistra che Giulia Maria Crespi ed il suo direttore Ottone avevano dato al Corriere della Sera, era una speranza impossibile trovarne in quella del 1994.
L'altro difetto de La Voce era quello dell'impaginazione, ideata da un grande art director come Vittorio Corona, ma non molto appetibile perché non era rivoluzionaria come quella de Il Giorno di Mattei, pur volendo essere diversa dagli altri: il risultato fu che più che un quotidiano, La Voce sembrava un settimanale d'opinione degli anni Cinquanta - Sessanta, tipo Il Mondo o l'Espresso prima del radicale restilyng degli anni Settanta.
Anni dopo, con malcelata acidità nei riguardi dell'ormai avversario Il Giornale, Montanelli ebbe a dire che aveva fatto giornali proprio bruttini.
Indro Montanelli è stato indubbiamente il più grande giornalista italiano del Novecento, grande anche nella cura della sintassi e nella ricerca della chiarezza; poteva essere letto tranquillamente da chiunque, ha affascinato generazioni di lettori ed è stato un costante punto di riferimento per chi volesse sforzarsi di scrivere bene, in qualsiasi campo avesse operato.
Non sempre, però, un giornalista principe è anche un buon "direttore di macchina" o capo della "cucina" come si diceva un tempo dell'organizzazione anonima e quotidiana di un giornale.