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speciale 25° anniversario di Aldo Moro
agguato, prigionia e morte
di Carla Santini

Ricorre il 16 di questo mese il 25esimo anniversario del rapimento di Aldo Moro, senza dubbio uno degli avvenimenti più sconvolgenti della nostra storia repubblicana.

L'Italia, ormai da un decennio, era abituata un po' a tutto, stragi, scontri di piazza, gambizzazioni, omicidi, ma il rapimento di un esponente politico di così alto livello non si ricordava dal 1924, dal rapimento di Giacomo Matteotti.

Moro stava uscendo di casa per recarsi alla Camera dei Deputati, in via Mario Fani, quando un "gruppo di fuoco" delle brigate Rosse sterminò gli uomini della scorta (tre poliziotti e due carabinieri) e caricò a forza lo statista su una Fiat 132 blu che subito si perse nel traffico del mattino.

La prigionia di Moro durò 55 giorni (alcuni calcolano 54), durante i quali l'Italia, come spesso accade, si trovò spaccata in due: da una parte il cosiddetto "partito della fermezza", che comprendeva il PCI di Berlinguer, il PRI di La Malfa, il socialista Pertini, i sindacati confederali, la DC di Zaccagnini (un segretario personalmente sofferente per gli avvenimenti ma del tutto succube dei "rigorosi", tra i quali il Capo del Governo Andreotti); dall'altra i favorevoli alla trattativa (il PSI di Craxi e i radicali di Pannella).

Ciò che tenne desta l'attenzione in quella primavera furono da una parte le lettere di Moro, dall'altra i comunicati brigatisti. Moro in prigionia scrisse alcune lettere accorate ad amici politici (c'è che dice che ne scrivesse anche altre, mai pubblicizzate, ad esponenti di altri partiti), ma ci fu subito la corsa a minimizzare; chi diceva che erano false, chi estorte, chi scritte sotto stupefacenti. Dall'altra parte lo stillicidio dei comunicati sul "processo popolare" (uno dei quali scritto, questa volta sì, da un falsario, sembra legato alla famigerata "banda della Magliana").

Le indagini furono spettacolari, con blocchi stradali affidati addirittura alla fanteria, ma non condussero a niente. Solo il 18 aprile un rubinetto lasciato aperto fece scoprire il covo brigatista di via Gradoli, ma le forze dell'ordine trovarono solo un appartamento vuoto. Ci furono polemiche, con l'accusa di aver divulgato la notizia troppo presto, per fare bella figura con l'opinione pubblica (ci fu chi disse che in via Gradoli mancava solo la fanfara dei bersaglieri) e polemiche ci furono anche in seguito, quando si seppe che, nel corso di una seduta spiritica cui era presente Romano Prodi, era emerso il nome Gradoli.

Nonostante gli appelli di Paolo VI (amico di Moro da decenni), del Segretario Generale dell'ONU, di Amnesty, i brigatisti non recedettero e il cadavere di Moro fu trovato il 9 maggio nella centralissima via Caetani, a pochi passi dalle sorvegliatissime sedi nazionali del PCI e della DC, il che, in una Roma sotto assedio, costituiva un ulteriore sberleffo delle BR allo Stato.

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