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cultura
Mario de Andrade e i frati italiani di Tonantins
di Alessandro Dell'Aira

Il Tonantins sfocia nel Solimões un po' più a valle rispetto a un altro importante affluente di sinistra, che in Colombia si chiama Putumay e scorre per l'ultimo tratto in terra amazzonica brasiliana con il nome di Içá.

Sulla riva sinistra del Tonantins, alla fine del Settecento, sorse la cittadina di Vila Velha per accogliervi gli indios di alcune tribù. Agli inizi del Novecento vi fu edificata la chiesa di São Francisco das Chagas, e cinque anni dopo, per l'ostinazione di un cappuccino originario dell'Umbria, una scuola che presto divenne il "Colégio São Francisco".

L'insediamento crebbe di importanza e nel 1918 i cappuccini lo trasferirono su una collina incastrata fra il Tonantins e il Solimões, dandogli il nome di Vila Nova de São Pedro de Tonantins.

Nel 1945, per una frana provocata dal Solimões, i frati abbandonarono il nuovo centro e arretrarono di mezzo chilometro rispetto alla foce del Tonantins, in posizione più sicura.

Abbiamo ricostruito la storia dei luoghi per farne lo scenario di un episodio gustoso: la visita di Mário de Andrade alla missione dei cappuccini di Tonantins e l'incontro con due frati italiani.

Ne è rimasta traccia in una pagina del grande intellettuale paulistano, quel documento storico-etnografico uscito postumo nel 2002 che porta il titolo di "O Turista aprendiz".

Mário de Andrade è in viaggio verso il Perù e la Bolivia. Viene da Manaus e con alcuni amici sta risalendo il Solimões su un battello a vapore, che attracca ad ogni porto. È il 15 giugno del 1927.

Allo scalo di Tonantins il gruppo sbarca per visitare la missione dei cappuccini. Oltre alla chiesa c'è una scuola con quaranta alunni e un ambulatorio di profilassi antimalarica, chiuso perché sfornito di risorse. Da una parte c'è un orto con un frutteto.

Mentre il gruppo si avvicina alla missione, un frate corpulento si fa avanti e invita tutti a entrare per un caffè. È una visita come tante, un po' cerimoniosa e un po' noiosa, ma prenderà ben altra piega.

Fra' Diego, così si chiama il cappuccino, fa accomodare gli ospiti, poi chiede loro permesso e si allontana, lasciandoli da soli nel salone dove c'è un pianoforte, e sul pianoforte una catasta di spartiti.

Mário de Andrade va verso lo strumento e fruga a casaccio nella catasta. Comincia da un Tantum Ergo e da un Kirie manoscritti, poi scarta uno spartito dopo l'altro finché soddisfatto non trova "I Lombardi alla prima crociata", il valzer di Musette e una maxixe di Eduardo Souto.

Il gruppo si scatena, in attesa del ritorno di fra' Diego. Alcuni cantano, altri scelgono i pezzi da cantare. Mário de Andrade strimpella. Salta fuori di tutto, anche "Giovinezza", l'inno dei fascisti italiani. Il gruppo lo intona "caçoisticamente", e cioè a squarciagola, stonando di proposito. Fra' Diego torna dalla cucina, e rumoroso come tutti gli italiani si unisce al canto di "Giovinezza", mettendoci del suo. Poi si esibisce da solo in un coro del Nabucco non meglio precisato (certamente "Va pensiero"), accompagnato al piano da Mário de Andrade, che scriverà nel suo diario: "Voz admirável".

Arriva il caffè italiano, e con il caffè, rumorosamente, frate Antonino, l'altro religioso della missione. "Tra gli italiani tutto è rumoroso", commenta Mário de Andrade.

Fra' Diego invita frate Antonino a cantare. Lui non vorrebbe, perché, si schermisce, la sua è "voz de burro". E subito intona "Santa Lucia", con piglio baritonale da teatro all'aperto, sempre con Mário de Andrade al pianoforte.

La guida del gruppo, che è di Belém, si rivolge ai frati e commenta: "Vengono da San Paolo".

Fra' Diego reagisce: "Allora non sono brasiliani! I brasiliani siamo noi, dell'Amazzonia!" "E você", dice a Mário de Andrade, "você tem pronúncia própria de italiano".

Questi trasecola, decide di assecondarlo e si presenta, abusivamente, come figlio e nipote di italiani.

"Fascista?", chiede fra' Diego.

"Antifascista", risponde de Andrade.

Fra' Diego fa un salto di gioia. Va a frugare nel fascio di posta arrivata con il battello e tira fuori, sventolandola, "La Squilla", il giornale dei cappuccini di San Paolo.

Mário de Andrade, poco informato, scrive che era un giornale antifascista.

In realtà non lo era, ma allora tra gli italiani si diceva che chi veniva a San Paolo doveva visitare la redazione della "Squilla", altrimenti era come andare a Roma e non vedere il Vaticano.

"Siamo abbonati alla Squilla e allo Estado de São Paulo", spiega fra' Diego. Malizioso, Mário de Andrade coglie un che di solenne e rispettoso in quello "Estado" in bocca a un cappuccino.

I turisti si congedano, i frati li abbracciano con trasporto. Frate Antonino li accompagna al molo.

La visita è finita, il battello si allontana sul Solimões, la missione dei cappuccini di Tonantins torna quella di prima, profonda Amazzonia. Con i suoi frati rumorosi, il pianoforte un po' scordato e la catasta di spartiti italiani.

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